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Cammino di Dante parte 1 – Cammino storico d’Appennino

Cammino di Dante parte 1 – Cammino storico d’Appennino

150 km da Faenza a Firenze attraverso l’Appennino

Intro

Quale modo migliore per festeggiare il settecentenario dantesco se non ripercorrendo alcuni luoghi simbolo della sua vita sul cammino a lui intitolato?
Il Cammino di Dante prende avvio dalla città di Ravenna (luogo di morte del poeta), tocca Firenze (luogo di nascita) e torna al punto di partenza seguendo un percorso circolare.
In questo articolo vi parlo della prima metà del cammino, ovvero la parte compresa tra Faenza e Firenze.
Ci si addentra progressivamente nelle colline dell’Appennino Romagnolo per poi passare alle montagne spartiacque dell’Appennino Tosco – Emiliano e alle colline patinate ed impeccabili tipiche della Toscana.
Il patrimonio naturalistico è tanto forte e vivo quanto quello storico-culturale, visto e considerato l’alto numero di borghi, paesi, eremi ed abbazie dislocati sul percorso o nelle vicinanze.
La narrazione procede su due livelli. Da una parte c’è lo sviluppo principale in prosa mentre dall’altra ci sono gli approfondimenti dettagliati sotto forma di didascalie fotografiche, per capire tutti gli argomenti toccati è necessario leggerli entrambi.
Un video dettagliato completa il quadro narrativo e dà la possibilità ai lettori meno volenterosi di comprendere molto bene le varie sfaccettature del Cammino di Dante.
Al termine della lettura puoi consultare il paragrafo “Info” per vedere la mia suddivisione in tappe del percorso.
Buona lettura!

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Ravenna, città di risonanza internazionale, assume grande significato nella produzione artistica, in particolare quella legata all’arte musiva. Battisteri e mausolei a pianta centrale così come le basiliche d’epoca paleocristiana sono agghindati di tutto punto da tessere. Mentre gli interni risplendono di luci e colori con volte, pareti e cupole scanditi da programmi e tematiche religiose. All’esterno si assiste al rifiuto categorico di ogni abbellimento, è la semplicità costruttiva delle forme monumentali che regna sovrana. In tutto questo l’epoca bizantina ha lasciato un segno indelebile e lo dimostrano gli otto beni patrimonio dell’umanità UNESCO che la riguardano. Ravenna dovette rappresentare un porto sicuro, non solo per Bizantini e Romani che scelsero di stabilirvi importanti corrispondenze artistiche e commerciali ma anche per chi come Dante Alighieri doveva portare a compimento la Divina Commedia. Ed è così che al suo arrivo nel 1318 Dante trova un ambiente adatto alle sue necessità alla corte dei signori di Ravenna (Da Polenta). Grazie al periodo di pace, stabilità e di attenzione alla cultura (in particolare alla produzione poetica) termina la stesura dell’ultima cantica della Divina Commedia, prima che la malaria se lo porti via il 13-14 settembre 1321. La maggior fonte d’ispirazione per Dante proviene per l’appunto dall’osservazione degli innumerevoli mosaici sparsi in città, lo dimostrano i riferimenti in alcuni dei suoi Canti.

Ravenna. L’arte musiva è fonte d’ispirazione

Centellinare l’arte e la poesia a Ravenna è complicato quanto ridicola è la probabilità di non essere travolti da cotanta bellezza. Un’ingente quantità di materiale musivo (epoca bizantina) impregna di storia e religiosità ariano-cristiana le pareti delle più accreditate monumentalità (IV-VI sec. d.C.) della città. Sotto forma di rappresentazioni religiose attecchiscono negli animi di chi si avventura incredulo all’interno di questi complessi, nell’estasiante ammirazione per qualcosa di unico e raro. Processioni di santi/vergini/martiri, iconografie, figure allegoriche, scene bibliche, apostoli ed evangelisti pendono da pareti e soffitti dispiegandosi sulle tessere in sgargianti colori, disponendosi attorno al creatore in modo ascensionale secondo linee di forza maggiore.
Al termine del percorso di visita rimane il rammarico che sia tutto finito, per noi forse si ma per qualcuno come Dante Alighieri, rimasto folgorato ed ispirato dalle opere in questione, si apre un nuovo capitolo, la stesura dell’ultima Cantica della Divina Commedia.

La Cattedrale di San Pietro Apostolo a Faenza, Piazza della Libertà.
Piazza del Popolo a Faenza, centro della vita cittadina e amministrativa della città. La Piazza è di origine antica, nel XV sec. inizia ad assumere la fisionomia che la caratterizza tuttora. A sinistra il palazzo del Podestà e a destra il palazzo municipale.
Palazzo del Podestà – Faenza.

Faenza

Il Cammino di Dante comincia a macchinarmi nella testa alla stregua di figurante pellegrino mentre compio i primi passi non lontano dalla cara Ravenna.
Ironia della sorte, al culmine dell’autunno Faenza mi riserva un viale A. Baccarini sfogliato, gli ippocastani tradiscono la stagione e mi fanno credere che sia tutto finito mentre in verità i colori sono solo rimandati a più tardi.
La ceramica, celeberrima arte faentina, è portata in mostra e racchiusa dietro la soglia di un lungo e curato stabile adibito a museo (museo internazionale della ceramica di Faenza).
Sfilo accanto l’insegna del Rione Rosso, è compresa una sfilza di piatti in ceramica decorata apposta allo storico muro di mattoni faccia vista.
I punti di riferimento scarseggiano tra le viuzze del centro storico, un inconfondibile brano di Johnny Nash viene riprodotto al primo piano di un’abitazione arrivando distintamente alle mie orecchie.

L’attenzione è rivolta alla mole della cattedrale all’angolo di Piazza Libertà e ai palazzi (podestà e municipale) che si protraggono nell’antistante Piazza del Popolo, centro nevralgico della vita cittadina.
Sgattaiolo via sulla periferia senz’arte ne parte nel campo dell’orientamento urbano, non prima d’imbattermi casualmente nelle solide mura cittadine.
Scruto l’intorno a piede libero e respiro lento lasciandomi guidare alla base della collina.

Cammino di Dante.
Prime colline – Valle del Lamone. Sopra la panca e sotto l’albero di cachi, nel mezzo c’è un bel miscuglio di colori autunnali tutti da ammirare.
La tipica campagna romagnola fatta di frutteti e la città di Faenza in lontananza.
La valle del fiume Lamone all’imbocco con la pianura. La Romagna è naturalmente predisposta alla coltivazione frutticola del territorio. Dalla pianura fino alla prima/media fascia collinare è un’alternanza di coltivi, zone calanchive e boschi. Ci sono vigneti, uliveti ma anche kiweti, pescheti, pereti.
Panorami sconfinati sulla bassa valle del Lamone.

Romagna, che passione! La food Valley

La valle del fiume Lamone catalizza la scena aprendo le danze sul Cammino di Dante.
Il cono prospettico è gigantesco come enorme è la produzione frutticola romagnola, in simbiosi sposano alla perfezione proporzioni ed esposizioni solari.
Mi trovo a camminare per diverso tempo sulle creste erbose di confine.
Avverto l’inconfondibile passione per la cura del territorio che mi delizia la vista e mi stuzzica il palato ricordandomi di quanto la Romagna sia conosciuta nel mondo come la Food Valley.
L’unione fra tradizione, buon cibo e ingegno creativo porta sulla cucina qualcosa di straordinario che non può mai mancare accanto alle eccellenze enogastronomiche del territorio.

Una cascata ininterrotta di filari coltivati dona ai pendii un bell’aspetto movimentato che da cima a fondo riempie l’intorno di colore e grazia, con la scorta d’acqua di bacino sempre pronta per l’uso irriguo.

Parco Regionale Vena del Gesso Romagnola. Foto scattata in località Rontana (Brisighella). Il risultato di quest’enorme distesa di aree calanchive che si protrae fino ai margini meridionali della pianura padana è frutto dell’inarrestabile lavoro della natura e della millenaria opera dell’uomo. Una storia che comincia circa 6 milioni di anni fa, quando il mare Mediterraneo sperimentò la cosiddetta “crisi di salinità messiniana”, dovuta alla chiusura dello stretto di Gibilterra e alla successiva evaporazione dell’acqua e quindi alla concentrazione di sali (tra cui appunto il gesso), che precipitarono in grandi depositi evaporitici. La Vena del Gesso si estende per uno sviluppo lineare di circa 25km ed una larghezza di appena qualche chilometro. La caratteristica principe del gesso è quella di essere un minerale molto solubile in acqua favorendo il fenomeno del carsismo di cui il parco è ricco. Questo spiega perchè vi siano numerose (200) grotte sotterranee, per uno sviluppo complessivo che supera i 40 chilometri, nonché una miriade di forme carsiche di superficie.
Il tipico paesaggio collinare romagnolo si divide a metà tra colline perfettamente arrotondate dove si coltiva qualsiasi cosa e le creste aguzze d’argilla che tempestano i versanti calanchivi.
Come succede spesso in quest’area, ci sono versanti verdeggianti interamente coltivati che contrastano completamente con i versanti calanchivi nelle immediate vicinanze, quasi da non credere. La differenza di biodiversità, morfologia e habitat è notevolissima.

La Vena del Gesso Romagnola

Cambiano le stagioni e cambiano anche gli usi. Un bel carico di pellet trova posto al centro di un desolante porticato d’abitazione. Per il momento nessun focolare scalda la casa e riempie l’aria di fumo, al contrario l’estate di San Martino trova tutti impreparati. Alcuni sentori di note fruttate passano equivoche nell’aria, provengono da lontano, sarà una reminescenza dell’estate?
Un’orda implacabile di calanchi monta imperturbata nella Vena del Gesso e riversa verso monte i fronti d’argilla che plasmano il paesaggio.
Nel mio piccolo trovo familiarità con altrettanti calanchi disposti al bordo del precipizio, in apparenza poca roba. Sto forse adottando la teoria dell’iceberg di Hemingway, rischio di prestare attenzione solo a quello che si vede a prima vista mentre il resto passa inosservato.
Un semplice costone d’argilla può mascherare interi versanti calanchivi come se niente fosse, è solo questione di angolazioni.

Brisighella in vista!
Ingresso di Via degli Asini dal lato nord.
Uno degli scorci più suggestivi di Brisighella si trova senz’altro nel camminamento sopraelevato di Via degli Asini.
Via degli Asini. Un camminamento di ronda unico nel suo genere. Risale al XIV e serviva ai “birocciai” per non scendere in strada con carretto e animali (asini) quando trasportavano il gesso prelevato dalle cave sopra il paese. Al piano terra ci sono le botteghe, ciascuna di esse ha soffitti a volte ad altezza diseguale che lasciano trasparire ondulazioni nel pavimento del camminamento, al piano superiore insistono le abitazioni. La Via degli Asini è scandita da aperture laterali ad arcate diseguali.
Il borgo di Brisighella visto dalla Torre dell’Orologio.

Brisighella

Per completare l’esperienza di viaggio non basta camminare.
Storia, arte e cultura vanno di pari passo sul Cammino di Dante e arricchiscono l’invisibile.
Ci sono vicende storiche (eccidio della Castellina ad opera di Alberigo Manfredi) ed opere costruttive (rocca Manfrediana/Veneziana e la torre dell’Orologio a Brisighella) che fanno parlare della famiglia Manfredi, signori di Faenza (XIV-XVI sec.), si raccontano visivamente sul percorso, anche tramite testimonianza storica derivata dai Canti della Divina Commedia ( la torre di Oriolo dei Fichi richiama alla memoria l’esilio di A. Manfredi).
Dalle vette al borgo di Brisighella (uno dei borghi più belli d’Italia) il passo è talmente breve che basta una divagazione tra i campi e il gioco è fatto.

Tre colli ben distinti richiamano l’attenzione e svettano sui tetti delle case.
Ciascuno di essi eleva il proprio portamento e quello che vi è deposto sopra. E’ così che torre, castello e santuario rubano la scena e creano un effetto prospettico davvero unico.
Il centro storico è un agglomerato denso di palazzi e abitazioni a più piani che sono ricevuti da vie principali gremite di gente alla convergenza della chiesa parrocchiale di S. Michele, vie coperte (la famosa Via degli Asini) e camminamenti sono una peculiarità.

I tre colli di Brisighella sono così formati (dal più vicino al più lontano): il Santuario della Madonna del Monticino, la rocca Manfrediana/Veneziana e la torre dell’Orologio. In passato il terzo colle veniva chiamato Monte del Calvario, probabilmente per la parte dirupata del versante sud. La storia del santuario è legata ad un formella in terracotta policroma rinvenuta in un piccolo tabernacolo a porta Bonfante (Brisighella), raffigura una “Madonna con Bambino”, poi custodita all’interno del santuario dopo la sua edificazione nel 1758. La facciata è dei primi ‘900 mentre l’interno è arricchito con capitelli ionici, stucchi, decori,un altare rivestito con marmi pregiati e un affresco absidale d’autore faentino. La Rocca venne edificata dai Manfredi, signori di Faenza, all’inizio del XIV secolo. Alla metà del XV divenne una possente rocca militare dotata di spesse torri cilindriche, fori per le catene, ponti levatoi, caditoie, beccatelli, camminamenti sulle mura di cinta e feritoie. L’ultimo colle svetta con la torre dell’Orologio. Antico fortilizio militare costruito nel 1290. Venne danneggiata e ricostruita più volte ma mantenne sempre l’importante funzione di guardia. Nel 1850 venne rifatta completamente con l’aggiunta dell’orologio a quadrante.
CD, pittogramma del Cammino di Dante.
Cammino di Dante.

Vocabolario della lingua vegetale

Porta Bonfante si prefigura in spogliate vesti al termine di una storica Via Bonfante e conduce alla deriva nella vegetazione.
Passeggio sulla collina dove si protrae il silenzio, persistono alcuni strascichi di carattere insediativo, per lo più abitazioni rurali che non vanno a inficiare sull’atmosfera sino a qui abbozzata.
Vado instaurando un dialogo intimo e personale con l’ambiente circostante.
Posso pormi all’ascolto cercando di captare i diversi segnali naturali, più procedo e più i nostri due mondi si compenetrano con facilità senza fare resistenza.
Abbandono definitivamente il vocabolario della lingua umana per adottare il linguaggio della lingua vegetale, fatta di caratteri semplici, mobili e intuitivi.

Il Cammino di Dante è naturalmente predisposto a mettere in campo paesaggi e viste mozzafiato come questa che inquadra le colline attorno a Brisighella.
I grandi appezzamenti a vigneto sulla collina a Dorile di Sopra.
Lungo il sentiero CAI 505 si susseguono viste panoramiche che spaziano dai frangenti collinari a quelli montani dell’alto appennino tosco-emiliano. Questo passaggio in particolare si trova nella prima metà del sentiero dove si intervallo boschi ed alcuni frutteti posti sugli spalti più assolati dei versanti fronte valle fiume Lamone.

Gesso. Il minerale che da forma e volume a tutto

Il gesso non conosce ostacoli, pone in essere ciascuna delle colline circostanti dando forma e volume a tutto. Nella fattispecie il materiale che meglio incarna i versanti dirupati o calanchivi, versanti frana poggio o reggi poggio.
Per effetto dell’elevata solubilità in acqua è il creatore di mondi sotterranei. In questa dualità perenne vengono a formarsi/trasformarsi interi mondi paralleli pressoché sconosciuti. Si tratta di grotte, inghiottitoi, camere, valli cieche o doline di crollo all’origine del fenomeno del carsismo, tipico di quest’area.

Angoli remoti dove regna la natura incontaminata (Sent. CAI 505).
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Sent. CAI 505 da Brisighella a Monteromano.
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A (s)passo di dorsale

La gigantesca dorsale su cui mi trovo fa capo ai due principali torrenti a valle.
Sintria e Lamone la spalleggiano mentre reggono in piedi il complesso e formidabile sistema vallivo che ne deriva.
Una pioggia continua e regolare di valli laterali si scaglia dall’alto al basso dei versanti con risonanza su vasta scala. Dal proprio canto posso osservare questa complessità a distanza ravvicinata o a lunga gittata in base alle condizioni concesse sul Cammino di Dante.
Gli uliveti si contendono gli spalti più assolati vicino a Brisighella con l’intento di produrre dell’ottimo olio Brisighella Dop da portare sulle tavole. Provano a spodestare le specie arboree spontanee rilegandole momentaneamente ai margini finchè non torneranno alla ribalta più avanti con forza accentratrice nella dominante selvaggia.
Queste sono le zone incontaminate della media collina con cui non si riesce umanamente ad interferire. Tutto cresce e si modifica secondo i principi e i ritmi della natura. Dove si è riusciti a creare scompiglio sono unitamente trincee e case partigiane che ancora permangono dal tempo di Guerra (Cà Malanca, Fornazzano).

Questa roccia mi ha subito colpito per le venature morbide che la percorrono da cima a fondo, la superficie si potrebbe confondere con quella di un tronco di legno molto levigato, è il motivo per cui mi ha interessato particolarmente.
Il Cammino di Dante prende un’altra direzione a Cà Mondera e si discosta dal sent. CAI 505 per seguire verso est il sent. CAI 519. La novità di questo tratto è che si susseguono alcune belle praterie sulla dorsale che porta a Marradi.

Attimi da collezionare

I trascorsi faccia a faccia con distese di colori autunnali ripresi dalle tinte arancioni (aceri, ciliegi selvatici, castagni) e gialle (querce, carpini), uniti agli spazi sconfinati di molte viste mozzafiato, entrano di diritto nella mia personale collezione di attimi preziosi.
Le notti si riempiono di stelle e pianeti, circondate dal fraseggio nebuloso di quelle costellazioni che qualcuno vedrà quando chiamarsi “vicini di casa” sarà solo un modo come un altro per non sentirsi soli fino all’altro capo della valle, non basta un osservatorio astronomico (Monteromano) per contenerle tutte.
Una cintura di monti all’orizzonte può essere talmente vasta da sfiorare la risacca del mare vicino alle Marche (monte Nerone) per poi sentire nascere il fiume Arno sul monte Falterona o il Tevere sul monte Fumaiolo, non ci sono più certi confini.

“Un battito d’ali di farfalla può provocare un uragano dall’altra parte del mondo”. Un muggito che riecheggia come un grido di battaglia nella valle del Rio Campodosio o l’eccezionale caduta al suolo delle castagne nei boschi può produrre conseguenze su larga scala?
Non so rispondere ma, se il proposito è quello di conoscere meglio il frutto della castagna, si può ripiegare verso Marradi, la patria del “Marron Buono”.

La prima lunga discesa del Cammino di Dante è quella che conduce dalle montagne al paese di Marradi.
Scorcio tra i vicoli.
Segni nel paesaggio. La valle del Lamone nel territorio di Marradi.

Marradi e il territorio Vallombrosano

Eppur mi sono scordato di te che sei l’acqua del Lamone e bagni le sponde del paese ridando familiarità ai miei passi sul Cammino di Dante.
Vengono commemorati personaggi illustri del luogo sotto le mentite spoglie di una piazza Celestino Bianchi e di una casa natale Dino Campana.
Il passato glorioso della casata medicea riecheggia nei vicoli. Immancabile lo stemma del giglio fiorentino apposto in Via Fabroni o la lapide incisa sulla canonica di San Lorenzo in ricordo del passaggio del Granduca di Toscana nel 1777.

L’excursus romagnolo termina qui ma la spinta a riprendere il Cammino di Dante è tanto quella religiosa provata intorno all’anno mille in territorio vallombrosano.
Sul cammino ho il piacere di visitare importanti abbadie avvolte nel mistero (abbadia di Mezzo, eremo di Gamogna), si materializzano per incanto in valli disabitate, incontaminate e difficili da raggiungere.
L’atmosfera si ravviva con fantastici paesaggi che penetrano efficacemente l’animo umano. Compiaciuto e destato nuovamente dalla bellezza spropositata di certe valli non faccio altro che cadere in tentazione servendomi di cenge aeree per osservarle tutte.

Eremo di Gamogna. Dell’antica struttura romanica permangono le celle dei monaci, gli essicatoi, la stalla, il forno e il chiostro. Il complesso è composto anche da una chiesa e dalle camere dai pellegrini. L’eremo venne fondato nel 1053, dedicato a San Barnaba, da un certo San Pier Damiani. Venne occupato dai monaci camaldolesi della sottostante Badia della Valle. Nel 1532 venne chiuso per mancanza di monaci e cadde in abbandono per diverso tempo. Venne ripulito dalla sporcizia e dall’incuria del tempo grazie a un prete di una vicina parrocchia. Quest’uomo portò con sé anche un gruppo di ragazzi durante un campo estivo e per diverso tempo tornò a sistemare la struttura ammalorata. Adesso la struttura si presenta così. Viene gestita da due suore carinissime e simpatiche che pregano regolarmente durante l’arco della giornata. Vivono qua per tutto l’anno a parte un paio di mesi invernali che tornano dalla confraternita a Firenze. E’ possibile pernottare a mezza pensione, basta adattarsi ai ritmi dell’eremo (mezz’ora di lodi e vestri al giorno), è un’esperienza bellissima.
Puoi dire d’aver visto davvero i colori autunnali se vedi con i tuoi occhi questo spettacolo dipinto!! Trovarmeli davanti all’improvviso è stato un tuffo al cuore. -Monte Val del Calvo-
Alba all’eremo di Gamogna.
Il mio 4° giorno di cammino (eremo di Gamogna – eremo dei Toschi) entra nel vivo dei colori autunnali, vi lascio un piccolo assaggio. 🙂
L’ossatura montuosa attorno alla valle Acerreta. Il risveglio all’eremo di Gamogna prende subito una bella piega procedendo a mezzacosta nella valle fino al Passo dell’Eremo.

La spiritualità in trono

Vedo forte e chiaro come impiegano le proprie risorse certe specie arboree, sprigionano colori fogliari fortissimi in mezzo all’abisso vegetativo e ruotano attorno alle cime del monte Val del Calvo e del monte di Gamogna.
Il tempo non manda a dire se si è fermato ma è evidente come la spiritualità che troneggia al fianco dei colori autunnali alla presenza dell’eremo.
Quest’ultimo brilla come caposaldo di fede tra le montagne e posa sul ciglio del precipizio senza vacillare, attitudini che calzano a pennello al sole ritrovato.
Appena scorto sulla dorsale di una montagna e già al lavoro per spazzare progressivamente via il buio e il freddo che chiedono d’entrare dalla porta quando la luce del giorno picchia alle finestre delle celle monastiche.

Una sezione del Cammino di Dante a tu per tu con il bosco di faggi, nei pressi del Passo dell’Eremo.
Quadretto autunnale a Poggio Inferno.
Nature emotion.

Le migliori sporgenze

In un bagno di chiaroscuri nuovi di pacca occupo le migliori sporgenze Poggio dell’Inferno, Poggio Fontanacce) per osservare in santa pace questo conflitto che eternamente agita le valli labirintiche a ridosso del Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi. Allo stesso tempo posso avere il piacere di distogliervi lo sguardo per un po’ se questo mi porta a procedere nel folto di un bosco di castagni della fascia submontana (valle del torrente Acerreta, Fosso dell’Acquacheta) o in quello di faggi della fascia montana (Fosso dell’Acquacheta, Passo dell’Eremo, Poggio dell’Inferno).
Passato, presente e futuro avanzano alla pari sui poggi del Cammino di Dante aprendo la visuale a 360° su un orizzonte di valli attraversate e da attraversare.

La cascata dell’Acquacheta in un momento di piogge magre.
Cascata del torrente Lavane nei pressi dell’Acquacheta.
Fosso dell’Acquacheta. Sentiero CAI 407 – Mulino dei Romiti. Un attimo di misticismo al fondo del Fosso dell’Acquacheta. Il sentiero battuto serpeggia tra le radici in superficie dei grandi esemplari di faggio mentre una luce surreale riempie la scena.
Certi esemplari di faggio lasciano davvero sbalorditi, scelgono di vivere senza sostegni forti, scelgono di servirsi solo dei grandi apparati radicali per cercare l’equilibrio.
Sent. CAI 407 nel Fosso dell’Acquacheta.

Suoni e pensieri dantesci al Fosso dell’Acquacheta

Un pensiero mi sfiora. In quanto essere umano sono solo un puntino nell’universo, è un divario incolmabile che si manifesta con la visione di quell’opera d’arte maestosa chiamata Fosso dell’Acquacheta.
La sua profonda forra, così ridondante d’insenature e vegetazione, risuona come una cassa armonica nella mia testa, viene messa in funzione dallo scroscio dell’acqua che precipita dalla cascata dell’Acquacheta innescando a catena una serie di altri suoni. Questi hanno la tenera musicalità dei piccoli saltelli d’acqua sul greto dell’alveo o del forte vento che s’incunea roboante e smuove le chiome di molti alberi monumentali di faggio.
Senza contare il parallelo riferito alla poetica dantesca. Espresso in versi nel XVI Canto dell’Inferno, rappresenta l’incontro personale che ebbe il poeta al passaggio dall’Acquacheta.

Come quel fiume c’ha proprio cammino
prima dal Monte Viso ‘nver’ levante,
da la sinistra costa d’Apennino,
che si chiama Acquacheta suso,avante
che si divalli giù nel basso letto,
e a Forlì di quel nome è vacante,
rimbomba là sovra San Benedetto
de l’Alpe per cadere ad una scesa
ove dovea per mille esser recetto;
così, giù d’una ripa discoscesa,
trovammo risonar quell’acqua tinta,
sì che ‘n poc’ora avria l’orecchia offesa.

La cripta dell’abbazia di San Benedetto in Alpe. La storia del borgo è legata indissolubilmente a quella dell’abbazia, promotrice dell’evangelizzazione dell’alta Romagna nel medioevo. Fondata nel IX secolo dai monaci benedettini. Attorno al complesso sorsero piccole abitazioni di contadini e braccianti che trovarono ospitalità in questa vallata. Parte della cripta e della navata nord vennero distrutte in seguito ad un terremoto, furono ricostruite in tempi più recenti.

Se le pietre potessero parlare

La curiosità smuove le montagne e indaga possibili scenari.
Al centro della questione ci sono piccoli agglomerati rurali (Pian Baruzzoli) dimenticati da dio, borghi (San Benedetto in Alpe) che fanno capo ad antiche abbazie e boschi spontanei (Fosso dell’Acquacheta) acquisiti dopo il graduale spopolamento abitativo.
Se le pietre potessero parlare chissà quante storie avrebbero da raccontare al proposito.
La natura è tempio di pilastri viventi, una foresta di simboli che parla all’uomo che non li può capire.

“Qua la gente c’è”. Sono le parole proferite dal nulla da un abitante delle case in pietra a Pian Baruzzoli, quasi a smentire quello che sto pensando in questo momento.
Esce allo scoperto sul pianerottolo dell’abitazione mentre sotto di lui il caos regna sovrano, oggetti di vario genere e utilità discutibile stanno accalcati sul frontespizio del caseggiato.
Questi sono i pochi abitanti delle terre alte, crescono a pane e raduni rainbow mentre conducono un’esistenza semplice e felice con tutta la famiglia. Senza nulla chiedere si adattano al ciclo delle stagioni e vivono di quello che la terra può dare (castagne, olive, allevamento allo stato brado e colture orticole in gran quantità).
L’acqua divalla facendomi emergere dalla vegetazione del basso letto solo per sentire che aria tira a San Benedetto in Alpe.
Un mordi e fuggi che mi riporta altrove, dove non serve sognare.

– L’ eremo dei Toschi – Avevo uno scopo ben preciso ancor prima di partire per il Cammino di Dante, volevo pernottare nei luoghi meno frequentati e chiassosi del percorso, per questo motivo ho scelto di dormire all’eremo dei Toschi. Il posto è veramente sperduto e immerso nella quiete delle montagne. La prima e ultima stellata veramente bella l’ho vista qui. La struttura è gestita da marito e moglie, sono due ragazzi giovani e simpatici, lo consiglio vivamente.
Sent. CAI 419 sulla dorsale tra il Monte del Prato Andreaccio e la Colla della Maestà.
L’ombra riflessa della dorsale all’alba del nuovo giorno.
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Ambasciator non porta pena

Il ponte sulla statale sposta il centro focale del Cammino di Dante da un versante all’altro.
Ambasciatore non porta pena ma bisogna alzare l’asticella per riuscire a inerpicarsi su un versante umido, ombroso, a tratti esposto come quello che porta a Prato Andreaccio.
La fatica può dirsi ricompensata dagli affacci panoramici che mirano a catturare ampie porzioni del paesaggio circostante.
Il disegno divino della creazione, per quanto mi riguarda, può dirsi completo dalla dorsale compresa tra Monte del Prato Andreaccio (991m slm) e Colla della Maestà (1034m slm).
La gestualità della luce solare si comporta come la marea, aumenta e diminuisce il livello in funzione dell’orario giornaliero, può portare alla ribalta un tramonto dall’eremo dei Toschi oppure farsi desiderare al lato opposto di una dorsale mentre sublima durante l’alba.
Cosa ne sarà di questa bastionata appenninica che volge fisicamente al termine, sicuramente sublima il ricordo di un’esperienza totalizzante, appannaggio dei prossimi pellegrini curiosi e assetati d’avventura.

Una bordura di ginestre sul sentiero 10 per San Godenzo, sullo sfondo il Poggio Stelletto (733m slm).

Adios Appennino Tosco-Emiliano!

L’orizzonte vira formato, cede il passo alle colline verdeggianti delle terre toscane.
I pascoli concatenati al bosco sono frutto dell’attività svolta da qualche proprietario terriero in località Castagneto.
Un allegro ruscello costeggia casa Moia, non fa una piega, nel dialetto emiliano significa “bagnato” per l’appunto.
La selvicoltura manda in visibilio grandi e piccini alle prese con la raccolta della castagna sulle pendici del Poggio Erbolini e del Monte di Casi. Nessun albero secolare del castagno può competere con quello monumentale del leccio a Castagneto, grandezza e bellezza sono senza eguali. Nulla sembra poter alterare la sua integrità, le cannonate sferrate dal fronte della Linea Gotica nemmeno lo sfiorano.

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– Il ponte del Cicaleto – I luoghi danteschi. Questo ponte in pietra ad arcata unica fungeva da dogana dove pagare la gabella per entrare in territorio fiorentino. Si trova lungo l’antico percorso che da San Godenzo saliva al valico del Muraglione. Dante lo percorse durante il suo esilio da Firenze, decretato l’8 giugno 1302.
– Abbazia di San Godenzo – L’esilio di Dante. Un eremita di nome Gaudenzio soggiornò tra questi boschi per condurre una vita di preghiera. In suo onore nacque l’abbazia alla fine del XI secolo. La struttura si caratterizza per la facciamo in pietra priva di decori e gli interni austeri. Spicca un prezioso pulpito in pietra serena di fronte all’ingresso della cripta dove sono conservate le spoglie di San Gaudenzio. Al centro del presbiterio trova posto la pala d’altare realizzata da Bernardo Daddi nel 1333, viene raffigurata la “Madonna col Bambino, angeli e santi”. L’abbazia ha la sua importante anche per quanto riguarda al figura di Dante. Il sommo poeta riceve la sua condanna d’esilio in questo preciso posto, non solo, la frustrazione di non poter tornare nella sua amata Firenze lo porterà a rinchiudersi nella scrittura di quella che diventerà la più conosciuta opera letteraria al mondo, la Divina Commedia.
Interno dell’abbazia di San Godenzo. All’interno spicca la Croce dipinta con storie della Passione del Maestro di Rosano (XII secolo) e due annunciazioni d’autori fiorentini datate XIV – XV.

Faccia a faccia tra Dante e San Godenzo

La figura di Dante torna a farsi sentire nei pressi di San Godenzo.
Passo al vaglio la struttura in pietra del ponte del Cicaleto e transito fintamente sullo stesso selciato che adocchiò il sommo poeta dopo il suo esilio da Firenze, sentenza avvenuta nell’ abbazia medievale l’8 giugno 1302.
Ricorrono i 700 anni dalla morte di Dante e non mancano celebrazioni e promozioni turistiche in paese. Eventi e meeting riempiono la programmazione, per non parlare del percorso tematico a sfondo storico affiancato alle Cantiche stampate sui muri ma, nonostante questo, il centro nevralgico della vita cittadina e delle vicende dantesche gravita sempre attorno all’abbazia di San Gaudenzio, ascrivibile come il luogo in cui nacque l’idea della Divina Commedia.

Un tappeto di castagne.
La raccolta dei Marroni nel comune di San Godenzo. Poco dopo il paese si imbocca una strada irta che punta verso la cima del monte Campaccio. Durante questo lasso di tempo (1,5 ore) si cammina principalmente su forestale in un favolo bosco coltivato a castagni e pieno zeppo di frutti.
La luce del tramonto sulla valle del torrente Cornia, vicino a Londa.

Importanti arterie viarie. Oggi come allora

La rete stradale moderna progredisce costantemente verso una più radicata e accessibile mobilità veicolare cancellando le tracce del passato. Bisogna spogliare del superfluo una strada provinciale SP95 per riconoscerla come importante arteria viaria tra l’Oltrarno superiore e la Romagna al tempo del Granducato di Toscana.
Le testimonianze storiche sono innumerevoli, basti pensare quante “Vie degli Etruschi” gravitano attorno alla rete sentieristica locale e al vicino sito archeologico di Frascole.
Le notizie balzano alle cronache e lascio che mi trasportino sul Cammino di Dante tra San Godenzo e Dicomano.

– Pieve di Santa Maria – Dicomano. La pieve risale al 1136 e si presenta in vesti romaniche. All’esterno ha la tipica facciata a salienti e senza decori, affiancata da un tozzo campanile databile al XII secolo. L’interno è caratterizzato da un pulpito in pietra serena e preziosi dipinti di scuola toscana databili XV-XVII secolo.
– L’antica torre di Montebello – La torre rappresentava un avamposto di avvistamento posto sull’accesso della Val di Sieve.
I vigneti del Chianti a Rufina.
Le sponde del Sieve a Pontassieve.

La valle del fiume Sieve

Le colline patinate ed impeccabili della Toscana tornano alla ribalta ridefinendo il gusto estetico nel paesaggio. Queste sono molto più inclini alla logica redditizia di quanto non lo siano le boscaglie che, rilegate ai margini, devono accontentarsi delle valli laterali o delle cime per potersi esprimere.
Anche l’occhio vuole la sua parte.
Uliveti e i vigneti sono molto invitanti e lo deliziano con intrecci di colori e forme davvero unici.
Mi adagio sugli allori respirando momentaneamente la calma che trasmette questo piccolo paradiso terrestre a cavallo del fiume Sieve.
Flirto tra vicoli e ponti della parte antica di Pontassieve e Dicomano a caccia di suggestioni. Ricerco i luoghi simbolo (Pieve Santa Maria a Dicomano, Via Ghiberti a Pontassieve) considerando che i rimaneggiamenti urbanistici sono la conseguenza delle ferite inflitte dai bombardamenti della II Guerra Mondiale.

Mirabolante excursus

Ci sono cose che non si possono spiegare, la salita sulla destra idrografica del Sieve è una di quelle.
Mirabolanti percorsi tagliano a mezzacosta i versanti di qualche Poggio dilettandosi ad osservare il paesaggio dalle insenature o da qualche balconata.
Un filare di cipressi ha tutta l’aria di voler rubare la scena, riconquistata in piena regola dalla bucolica valle del torrente Uscioli.
Molti sono i luoghi di perdizione lungo il corso del Sieve, basti pensare all’impareggiabile allettamento dovuto ad un percorso prevalentemente in piano e circondato dai vigneti del Chianti D.O.C.G., attorniati da un’infinità di poderi, casali, fattorie e agriturismi di proprietà.

– Monastero di Santa Maria a Rosano – Venne fondato nel 780 e accoglie una comunità benedettina di clausura come in passato. Il monastero, per ovvi motivi, non è visitabile, potete visitare solo l’abbazia, ve lo consiglio vivamente. Basta entrare nel cortile e chiedere alla portineria di farvela aprire.
Il Poggio a Luco e il Poggio dell’Incontro sullo sfondo.
La raccolta delle olive nel Chianti – Poggio a Luco.
Un’ultima occhiata da lontano alle attrazioni più inconfondibili di Firenze (duomo, Palazzo della Signoria, fiume Arno) e poi scendo alla piana, promesso. -Frazione di Rimaggio-

Nel pensier mi fingo fintanto che ci si sente sognatori, ora che posso sognare ad occhi aperti non ha più senso farlo. Sulle note di “fly me to the moon”, scaturite improvvisamente nella mia testa, saluto Firenze dall’affaccio del Poggio dell’Incontro e mi sembra realmente di volare dalla felicità.
La vedo crescere davanti ai miei occhi e, seppur forèsto della città, mi appartiene sempre più.
Il fiume Arno mi guida nella periferia tanto da compiere passi da gigante verso la destinazione finale rappresentata dalla casa-museo di Dante Alighieri.

Fine del Cammino di Dante – Casa museo di Dante a Firenze. Selfie con il mezzo busto di Dante appeso al muro. Faccia contenta di chi è riuscito nella sua impresa e ha assaggiato un buonissimo panino al lampredotto fiorentino (Quarto stomaco del bovino).

Info utili

Ho pianificato le tappe del Cammino di Dante in base alle mie esigenze, senza rispettare quelle che sono le suddivisioni ufficiali (peraltro poco inclini al mio modo d’andare a piedi, tappe troppo lunghe seguite da tappe molto corte o viceversa)
Volevo vivere al massimo questa esperienza cercando di dormire lontano dalle abitazioni, anche se si poteva trattare solo di piccoli paesi/borghi. Ho preferito stare isolato nelle campagne o nei boschi per respirare la calma serale e mattutina. Tornassi indietro lo rifarei uguale e prenoterei di nuovo il meteo super favorevole!! 🙂

Giorno per giorno

1° giorno

Partenza – Arrivo: Faenza – Brisighella (via Borgo Tuliero ed ingresso in traccia).
Lunghezza: 18 km
Dislivello +: 360 m
Difficoltà: facile

2° giorno

Partenza – Arrivo: Brisighella – Monteromano (B&B Cà le Stelle)
Lunghezza: 18,5 + 1 km (fuori traccia)
Dislivello +: 930 m
Difficoltà: medio/impegnativo

3° giorno

Partenza – Arrivo: Monteromano – Eremo di Gamogna
Lunghezza: 24 km
Dislivello +: 950 m
Difficoltà: medio/impegnativo

4° giorno

Partenza – Arrivo: Eremo di Gamogna – Eremo dei Toschi
Lunghezza: 20,5 km
Dislivello +: 950 m
Difficoltà: medio/impegnativo

5° giorno

Partenza – Arrivo: Eremo dei Toschi – Dicomano
Lunghezza: 24 + 2 km (deviazione ponte del Cicaleto)
Dislivello +: 750 m
Difficoltà: impegnativo

6° giorno

Partenza – Arrivo: Dicomano – Pontassieve
Lunghezza: 21 km
Dislivello +: 480 m
Difficoltà: medio

7° giorno

Partenza – Arrivo: Pontassieve – Firenze
Lunghezza: 21 km
Dislivello +: 500 m
Difficoltà: facile

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